LA
STORIA DEL BABA'
“C’era
una volta....un Re, diranno i miei piccoli amici”. Così comincia
Pinocchio, una delle favole più belle della storia.
Nella
storia del babà il Re c’è davvero, e non è un personaggio
fiabesco: è nientedimeno che Stanislao Leszczinski, re di Polonia dal
1704 al 1735.
Stanislao
era diventato re a meno di trent’anni, grazie all’appoggio di Carlo
XII di Svezia. Qualche anno dopo (era il 1735) Pietro il Grande, Zar di
tutte le Russie, si dimostrò molto più grande del re svedese e di quello
polacco: insieme ai suoi alleati, la Prussia e l’Austria, mosse
loro guerra, e li sconfisse. Stanislao però non era uno qualunque. Era il
suocero di Luigi XV di Francia, che aveva sposato sua figlia Maria. Per
questo motivo, dopo averlo detronizzato, come contentino gli diedero
il Ducato di Lorena. Lui non ne fu troppo contento, ma si adeguò.
Privato
del Regno di Polonia, e costretto in un quel piccolo regno privato,
Stani si annoiava. Siccome c’aveva un sacco di tempo libero, si circondò
di filosofi e scienziati, e si mise a studiare. Studia che ti
studia, finì per mettere a punto un programma di collaborazione
internazionale e di integrazione europea: la prima versione della UE, a
memoria d’uomo.
Sulla
carta, il progetto era splendido, ma l’ex monarca sapeva di non avere
alcuna possibilità di attuarlo: era senza corona, e quindi senza alcun
peso.
Questo
stato di cose gli dava molta amarezza. Per combatterla, Stanislao aveva
bisogno tutti i giorni di qualcosa di dolce. Accontentarlo,però, non era facile:
i pasticcieri lorenesi dovevano lambiccarsi continuamente il cervello
per preparargli qualcosa di nuovo.
Ma
di fantasia ne avevano pochina, e così due giorni su tre al povero ex
sovrano veniva servito il “kugelhupf”, un dolce tipico di
quel territorio, fatto di con farina finissima, burro, zucchero, uova e
uva sultanina. All’impasto veniva aggiunto lievito di birra, fino ad
ottenere una pasta soffice e spugnosa. Stanislao il kugelhupf non lo
poteva soffrire. Non che fosse cattivo: ma era, come dire, un po’ fesso,
privo di personalità. E poi era asciutto, ma così asciutto che si
appiccicava al palato. E non gli piacque nemmeno quando fu bagnato
con una salsa di vino Madera, zucchero e spezie.
Spesso
non l'assaggiava nemmeno.
Poi
tornava ai suoi progetti per un mondo più giusto, senza vincitori né
vinti (così quei maledetti che l’avevano sbattuto laggiù sarebbero
stati serviti).
Insomma,
Stanislao Leszczinski viveva in una prigione: dorata, ma pur sempre
una prigione. E’ comprensibile perciò che ogni tanto, per non pensare
al passato, che gli faceva tristezza, e al futuro, che gli faceva paura,
alzasse un po’ il gomito.
Fedele
ai suoi ideali di uguaglianza, beveva di tutto: a cominciare dai vini
della Mosa e della Mosella, orgoglio della Lorena. Ma poichè da
quelle parti gli inverni sono lunghi, freddi e nevosi, spesso gli ci
voleva qualcosa di più forte. E lui l’aveva trovato: era il rhum,
un’acquavite derivata dalla canna da zucchero, importata dalle Antille.
Era buono, era tosto, e quindi era proprio quel che ci voleva.
Un
giorno Stanislao, che aveva già ingollato vari bicchierini di rhum,
si accorse di avere una gran voglia di un buon dolce. Di
qualcosa di veramente speciale. Perciò, quando il suo maggiordomo gli
piazzò sotto il naso l’ennesima porzione di kugelhupf, l’allontanò
rabbioso.Poi impadronitosi del piatto che il servitore teneva timoroso tra
le mani, lo scagliò sulla tavola, lontano da sé.
Il
piatto terminò la sua corsa contro la bottiglia di rhum posata lì
accanto, e la rovesciò. Prima che qualcuno potesse intervenire a
risollevarla, il liquore aveva completamente inzuppato il kugelhupf.
Sotto
gli occhi ancora corrucciati di Stanislao ebbe luogo una straordinaria
metamorfosi: la pasta lievitata dell’insipido dolce lorenese, per solito
di colore giallastro, assunse rapidamente una tonalità calda, ambrata, e
un profumo inebriante comincò a diffondersi intorno.
Nella
sala da pranzo c’era un silenzio che si sarebbe potuto tagliare col
coltello. Invece Stanislao, sotto lo sguardo stupefatto della servitù,
sollevò il cucchiaino d’oro (la mano gli tremava un po’),
prelevò qualche frammento di questa Chimera: di quest’ibrido che si era
materializzato sotto i suoi occhi, e lo portò alla bocca.
Quel
che provò lo sappiamo. Lo abbiamo provato tutti la prima volta che lo
abbiamo assaggiato il babà. Perché nessuno può dimenticare il primo
istante in cui si è trovato faccia a faccia con Lui (nessuno,
tranne i napoletani: in genere, per loro questo momento arriva
quando sono troppo piccoli per ricordarsene).
Fu
questa, una giornata memorabile per l’umanità.
All’invenzione
casuale del dolce inventato dal Re polacco tra le brume della
Lorena: mancava il nome.Fu sempre Re Stanislao a dedicare questa sua
creazione ad Alì Babà, protagonista del celebre racconto tratto da “
Le Mille e Una Notte”. Libro che il sovrano amava leggere e rileggere
nel suo lungo soggiorno a Luneville .
Il
babà da Luneville arrivò presto a Parigi,alla pasticceria Sthorer. Qui in
tanti lo conobbero e lo apprezzarono. A portarlo successivamente a
Napoli,dove assunse la forma definitiva assai caratteristica (quella di un
fungo) furono i “monsù”,chef che prestavano servizio presso le nobili
famiglie napoletane.
E
da allora il babà elesse Napoli a proprio domicilio stabile. Un’ultima
considerazione: nella cucina napoletana esiste più d’un dolce che –
per il suo sapore – “po’ ghì annanz’o Rre”: può essere
presentato al re. Ma il babà è l’unico dolce che dinanzi al Re non
c’è andato: c’è nato.
P.S.:
I progetti utopistici di Re Stanislao si realizzarono in pieno: di fronte
a una guantiera di babà tutte le controversie si appianano, e la
Pace e la Concordia regnano sovrane.
Un
grande sapore ha sempre la meglio sui dissapori: grandi o piccoli che
siano.
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